mercoledì 19 agosto 2009

Il sole (Germania-Italia 4 a 3)

Cielo come se dovesse piovere. Ma non deve.
Ogni giorno così – quando non piove.
E allora faccio il mio dovere e tu fai il tuo.
Sorrisi più misurati, più preziosi – perché sorridere non è la prima cosa che mi viene in mente. Ci è toccato lo stesso cielo, ti chiedo solo di non aggiungere a questo grigio inevitabile altri fastidi evitabili.
Così sembrano funzionare le cose qui.
Un po’ più giù, da dove scappo, il sole lo si pretende.
Il sole ce lo deve, di uscire e farci belli e di far maturare i pomodori.
Sono come il sole a mezzogiorno baby.
Nascondiamo la zappa e cantiamo felici e superbi la nostra latitudine, come fosse un merito, una medaglia guadagnata sul campo.
E invece è la nostra disgrazia: è il Sole che droga e perdona, che fa dimenticare le offese del giorno prima e che legittima così quelle del giorno dopo.
Il Sole è il nostro circo, calato dall’alto come una bomba che tarda a toccar terra – bella come una mongolfiera finché se ne sta lassù.
E intanto quelli che (non) guadagnano medaglie nei campi, lo sentono graffiare sulla schiena e sulle spalle. Poi tornano in paese e non capiscono più di chi è il sole, e con chi ce l’ha.

mercoledì 5 agosto 2009

Diario di altre vacanze. Di quelle che non stiamo facendo.

Volo MilanoTokyo gennaio duemilasette

Marco Polo del cazzo. Vedo la Cina. Neve sui finestrini. Una landa desolata, una risaia abitabile poi. L’occhio non si chiude, anzi si chiude e vede solo palpebra. Non si può volere non volere. Questo succede già con te. E ora col dormire.
Di fianco, una coppia di flashati a mandorla ronfa in mille posizioni.
Ha ciabatte d’ordinanza. Lei la mascherina anche. L’aria svampita, la macchina fotografica come prolungamento del tronco e del viaggiar volgare: tutto un trucco. Sono lucidi, paranoici e attendisti. Ma lucidi.

Posso stare immobile 12 ore su una poltrona con le ginocchia in bocca e tre soli bicchieri d’acqua in dotazione. Posso soffrire la sete per educazione.
Sono pronto per il peggio, datemelo. Spazio più stretto e meno acqua.
Quella di fianco ha fatto colazione, poi si è rimessa la mascherina. Si liscia i capelli e parla col marito.

I viaggi lunghi in aereo sono come quelli in carrozza. Sale solo chi se lo può permettere ma quando si scende si è tutti più brutti, più sporchi, più sciupati. Come in film in costume, che vorresti poter sentire l’odore, il loro odore, per capire veramente di cosa si parla.

Imparare a odiare potrebbe essere una delle chiavi per cominciare a scrivere.