giovedì 29 aprile 2010

25 Aprile o del cercare di mettere ordine tra velociraptor, fascisti, leopardi nebulosi e tronisti.

Il mio venticinque aprile comincia alle tre di notte, o del mattino - per quelli che contano la giornata come se si andasse a dormire dopo Carosello.
Per l'appunto: succede che torno a casa la sera del 24 e crollo sul divano come un minatore che non ha neanche le forze di pelare le patate che ha nel piatto.
Orbo di sostanze che mi permettano sonni lunghi e sintetici, mi sveglio dunque nel cuore della notte - mentre fuori Milano ancora si struscia.
E sveglio rimango, con gli occhi penzoloni - gli stessi che avrei sfoggiato qualche ora dopo in manifestazione alla luce del troppo sole.
Parentesi.
Il 25 aprile si fa festa perché il 25 aprile di molti anni fa Milano decise che le erano girati i coglioni, insorse e si liberò una volta per tutte dai fascisti - che tecnicamente erano uomini come gli altri ma per molto tempo non si erano comportati da uomini, ragion per cui liberarsi dai fascisti suona vagamente come liberarsi dagli scarafaggi che stanno sotto al lavandino.
Quando avevo sette anni non ci vedevo nulla di strano, e davo per scontato o che i fascisti fossero stati uccisi uno per uno o che fossero scappati altrove, coi busti del pelatone sotto braccio e le borse piene di camicie nere.
Evidentemente non era così: per quanti ne fossero morti nei boschi o fucilati dalla Resistenza, ne rimanevano di certo milioni e milioni sparsi per la penisola.
Più banalmente, l'Italia era stata fascista per vent'anni - quindi tecnicamente i fascisti erano niente di più niente di meno che gli italiani, e chi proprio non sopportava questo nesso logico imparò a usare il fucile e qualsiasi altro strumento col quale potesse tornare ad essere semplicemente italiano.
Basta fare un paio di conti per rendersi conto che, tolti quelli che volevano fortissimamente essere fascisti e quelli che volevano fortissimamente non esserlo, avanzava ancora un gregge immenso che, nel bene e nel male, è sempre stato sé stesso e a seconda di chi s'è seduto sulle poltrone si è fatto apostrofare nelle maniere più diverse.
Insomma, qualcuno si è liberato di qualcun'altro mentre la maggior parte faceva altro.
Riassumendo all'osso, Festa di Liberazione da quelli che c'erano prima.
Che non è poco, dato che era gente che mi avrebbe costretto a fare cose davvero idiote, dato che era gente che se la intendeva coi nazisti - che mi avrebbero costretto a fare cose pure peggio.
65 anni sono passati, e com'era ovvio, i nodi sono venuti al pettine: viene fuori che un tot di italiani non volevano essere liberati; un tot d'altri sostengono di esser stati liberati sì - ma dagli americani, che fa più chic; altri ancora dicono che si poteva liberare con più garbo, senza agguati e sgambetti; una minoranza crescente dice invece che la liberazione ci fu effettivamente, ma dall'incombente pericolo di una dittatura comunista (il che farebbe diventare il 25 aprile la festa della prevenzione).
E si finisce che si va in piazza non a sentirsi liberi, ma a spiegare perché non lo si è ancora, non lo si è più o non lo si è mai stati (nessuno, guarda un po', pone il deludente e lecito dubbio che forse non lo saremo mai).
E si ha l'impressione che quello che veramente manca a tutti non sia la libertà, ma la possibilità reale di scontrarsi, di tornare a vetuste categorie di male e bene, a tempi dove il diritto era riconosciuto ai giusti e i cattivi li si appendeva, fucilava, sradicava.
Io, in piazza, causa la mia inedita e odiosa insonnia, ci finisco ore prima che le fiumane giungano.
Tradizione vuole che il corteo parta da Piazza Oberdan, luogo dedicato appunto alla memoria di uno che voleva uccidere il re, uno che la storia ricorda come intrepido, come eroe, ma che oggi sarebbe un terrorista qualunque, se non - peggio - un Tartaglia qualunque.
Ci arrivo sfrecciando con le borse sotto agli occhi sulla mia bianchi con ruota anteriore inaffidabile, e non ci trovo nessuno - ma nemmeno quattro gatti del partito (uno qualsiasi, anche di fantasia) intenti a cucire un bandierone, nemmeno un nugolo di partigiani centenari di quelli che si svegliano alle sei pur non avendo un cazzo da fare per le successive venti ore.
Insomma, nessuno - nemmeno un altro insonne. A rassicurarmi sul fatto di non aver sbagliato giorno ci pensano un numero imprecisato ma comunque abominevole di carabinieri - vestiti come se stessero per grandinare noci (e invece sulla mia crapa c'è un sole tunisino a farmi pentire del golfino legato in vita) - e soprattutto quelli delle magliette, vale a dire quei loschi figuri che con il loro appendino a ruote si appostano nei pressi di qualsiasi evento che possa essere immortalato su una maglietta.
Nessuno sa chi li controlli, chi li spedisca di qua e di là, chi scelga per loro le magliette (nel caso specifico, un guazzabuglio di Guevari, loghi di mecdonald stravolti e antiberlusconismi di ogni sorta, con qua e là evergreen zapatisti e anarchici): loro hanno la faccia di quelli che se ci fosse la guerra venderebbero magliette con le bombe sopra, di quelli che un giorno si farebbero il dopoconcerto degli Iron Maiden e quello dopo il fuori Sindone a Torino.
Insomma, i più disillusi di tutti - eppure, curiosamente, i primi ad arrivare.
Dopo aver tristemente visto un paio delle mie magliette di gioventù su quei carretti, decido di aspettare l'arrivo del popolo - o chi per esso - cercando la pace delle scienze.
Torno cioé - dopo vent'anni almeno - al Museo di Storia Naturale, tappa obbligata per ogni marmocchio milanese, struttura splendida e decadente che ospita enormi finti scheletri di balena, animali impagliati di vario piumaggio, noiosissime pietre e diorami impolverati che facevano effetto ai bimbi solo nell'era pre-segamastersystem.
Con sommo piacere, scopro che nulla è cambiato: il Museo è in mano a una serie di bidelle col tipico sguardo di chi prende i soldi dallo stato (ci vorrebbe uno smiley apposta), il cui interesse per il sapere e la sua divulgazione è pari a quello che ho io per la pesca del luccio. L'incuria che avvolge i corridoi è ben rappresentata da un palloncino a elio a forma di faccia di Minni - sfuggito dalle mani di un qualche bambino pacioccone chissà quando - che rimane lassò sospeso tra lo scheletro di balena e modellini di altre carcasse.
Segue sala dei dinosauri, fuori moda da dieci anni ormai, anch'essa immutata e, nella sua ingenuità e immobilità, oltremodo sincera.
Per altro, confermo alcuni miei sospetti in materia saurica: i velociraptor se li è inventati Spielberg per esigenze di sceneggiatura - tra i dinosauri regolarmente iscritti all'albo non figurano né mai sono figurati.
Mentre giro tra le sale in ristrutturazione al piano superiore e saluto i granchi giapponesi, i narvali incazzosi e il leopardo nebuloso (così era scritto sulla targhetta), comincio a sentire da fuori l'insostenibile playlist del 25 aprile.
Dai carri e dai furgoni finalmente giunti, arrivano le prime raffiche di BellaCiaoBellaCiaoBellaCiaoCiao - a bpm e arrangiamento variabile, tutti ormai insostenibili e capaci di instillare anche nel più paziente e fedele dei nostalgici crisi di rigetto e simpatia per l'invasor.
Finalmente uscito dal museo con la più alta percentuale di teche "in allestimento" d'Europa, trovo ad aspettarmi un'umanità decisamente più variopinta e variamente motivata.
Nell'ordine:
- solitario su una panchina sionista di prima linea con bandiera di israele grande tre volte lui e ansioso forse di avere problemi
- folla di gambesi e senegalesi all'ombra pronti a una specie di sbarco in normandia armati di pazienza e occhioni per cercare di convincerti (requisiti del cliente: bianco, possibilmente giovane e con la faccia buona) a comprare uno dei loro mille - forse ottimi forse no tanto non ho una lira - libri e riviste al grido di ehi, capo con relativa e sincera stretta di mano anti-fuga (tua)
- alcuni (che in seguito sarebbero rimasti alcuni) militanti del popolo viola, sfortunato movimento antiberlusca nato a natale e morto a santo stefano, che crede basti una virata cromatica dal tradizionale rosso per cambiare le cose. Seguono momenti di imbarazzo, quando gli alcuni di cui sopra intonano una sorta di messa anti-berlusca (così lo chiamano).
- primi esemplari di giovani comunisti, mammiferi con cravatta e camicia (con un risultato a metà tra scamarcio che cerca di fare lo studente e Harry Potter), che tentano placcaggi per importi dibattiti marxisti-leninisti sulla caduta dell'impero tizio e sull'arrivo della rivoluzione caio. Secondi per pedantiera solo a Mondolibri e ai servizi clienti vodafone che ti chiamano sul telefonino per offrirti sadiocosa.
- chi già la fa da padrone è Emergency, che, infilandosi un po' a cazzo nell'ordine del giorno, vende magliette "io sto con emergency" per ribadire l'indubbia porcata archittetata nei loro confronti neanche una settimana prima. Tempo mezzora e mezza manifestazione "sta con emergency" con relativa confusione del quid della manifestazione, che a dirla tutta parla di guerra e di scontri e di quanto fosse giusto ammazzare i fasci, mentre Emergency in proposito ha probabilmente posizioni più moderate.
Mentre osservo e registro per quanto i miei occhi me lo permettano, il vialone si riempie di gente - specie di quella che non ha bandiere, non sa nemmeno un coro uno e come massimo gesto della giornata comprerà un ghiacciolo (tipo me: menta).
A meno che tu non abbia fatto tutti gli intervalli del tuo cursus scolastico chiuso in classe, questo è il posto migliore dove rincontrare pezzi della tua vita - una sorta di gigantesco facebook col sole che ti picchia sulla testa e nessun voyeurismo di sorta, dato che ognuno ha la faccia che ha e non c'è foto che possa mentirti.
Il tutto mentre da camion, furgoncini e camionette si urlano le peggio cose sulla gestione amministrativa, provinciale, regionale, statale e globale della terra - asfaltata - che abbiamo sotto ai piedi.
Bersagli di un buon settanta per cento delle urla e degli strepiti amplificati dai megafoni (che riuscirebbero a rendere fastidiosa anche la voce di Suzanne Vega, credo) sono per l'appunto i fascisti.
Non quelli che furono, attenzione, ma quelli che ancora sono - quelli che dicono "siamo fascisti e ne siamo parecchio contenti".
Gente insomma che fa di tutto per farti sapere che ha la foto di Mussolini nel portafoglio, che fa il saluto romano come i bambini viziati che si mettono le dita nel naso e fanno vedere a te che sei nel tavolo di fianco cosa tirano fuori mentre la mamma è girata.
I cori inneggiano al fatto che la loro stessa esistenza - e persistenza - sia il problema, che sia la principale vergogna della nostra penisola.
Io cammino perplesso, pensando primo che il fascismo nel senso di attegiamento nei confronti dell'altro e dello stato e del potere sia oggi in mano a gente che non si definisce di certo fascista e che in compenso quelli che sostengono di sono probabilmente delle teste di cazzo (al di là di ogni cinica e disincantata discussione) ma che forse non sono il problema in cima alla lunga lista dei.
Specie ora che sono in gran parte impresentabili - più o meno come parte della corrispondente parte a sinistra - sia per attualità di vocabolario, sia per mancanza di strategia, sia per i loro brutti musi.
Penso queste cose e cammino un po' triste, perché da bambino era più facile odiare i fasci e punto - era più facile vederli come l'incarnazione del male e punto.
Oggi il male non si incarna nelle persone, ma nelle strutture che tengono insieme le persone, che le tengono insieme e le mettono contro, nelle strutture che maltrattano, premiano, umiliano e istigano.
In fondo, dirsi di destra vuol dire sostanzialmente non credo più negli uomini, se non in quelli talmente simili a me da non farmi paura, vuol dire il mondo è cattivo quindi ora lo sarò anch'io, vuol dire io vengo prima di noi. I fascisti, o quelli che si proclamano tali oggi, sono probabilmente quelli che stavano a destra per stare tra i propri simili e che solo dopo hanno capito che anche tra simili, a destra, ci si aiuta solo se conviene.
Tecnicamente non conviene oggi fare saluti romani e tenere Benito nel taschino, ed ecco perché i fasci insistono sui santini - per essere sicuri di essere tra gente che non tradirà, per essere sicuri di essere liberi di esserlo (atteggiamento encomiabile a suo modo, se non fosse che il perché della battaglia sia davvero idiota).
Ed ecco perché, in fondo, li vedo come vedevo il bambino che faceva la teppa in classe e faceva di tutto per essere detestabile - ovvero, uno che da quando è al mondo non se lo fila nessuno, e per dimostrare che è colpa sua se nessuno se lo fila, e non del padre che lo pesta, fa il cattivo.
Intanto, da questaltra parte, sono sempre di più i personaggi francamente impresentabili, che portano avanti parole vecchie e vuote e sbagliano nemici contro cui combattere come neanche Don Chisciotte.
Eppure, nonostante i due fronti tirino la coperta della Storia fino a strapparla, mentre ormai la Storia ha luogo da un'altra parte, la gente attorno fa funzionare tutto: tutti marciano in ordine sparso, tutti sorridono, tutti si abbracciano, fumano, mangiano, si baciano, ridono e nessuno pare portare particolare rancore verso chicchessia. Tutti sembrano rendersi conto almeno per un momento che non è detto che tutto questo ridere e abbracciarsi per strada sia una conquista stabile e duratura, che lo puoi fare - di sentirti tu padrone della città (come dovrebbe essere cazzo giusto) - solo se sei proprio in tanti.
E non credo che siano i fascisti il problema - penso anzi che se i problemi si potessere risolvere scrivendoli, sarebbero anche loro ben lieti di camminare al sole tra tanta gente che si vuole bene mangiando ghiaccioli alla menta.
Cazzo, a chi non piacerebbe? Altrove però non si vuole che si vada tutti d'accordo, e divide et impera rimane di gran lunga il miglior motivo per sapere un poco di latino.
Anche perché ai lati della nostra innocua e gioiosa e solare marcia, ci sono schiere e schiere di carabinieri vestiti come astronauti - quindi probabilmente con un caldo spaventoso e un odio incredibile per chiunque stia mangiando un ghiacciolo.
Mi ci fermo davanti e noto i loro pizzetti curatissimi, da veri tronisti, e dato che per la mia testa sono passati pensieri che neanche san francesco dopo che ha vinto al gratta e vinci, decido che loro sì mi stanno pregiudizialmente sul cazzo - perché per una manciata di euro tengono in vita la faccia più brutta e francamente inutile del potere, senza neanche dire cazzo che caldo ma perché siamo vestiti così?

martedì 20 aprile 2010

L'orco

satana copy


Quelli che non conosco
si trovan di nascosto
per dirsi che c’è un mostro
che sta distruggendo l’orto
poi quando li conosco
mi paion gente a posto
e vado anchio nel bosco
a inventare l’orco.

sabato 10 aprile 2010

Il giardino ariano

Il giardino ariano è uno dei fiori all'occhiello del capoluogo lombardo, una risposta spontanea e convincente al problema della distribuzione della bellezza - responsabile di buona parte dei mali che affliggono il viver moderno.
La mancanza di una qualsivoglia legislazione e segnaletica rispetto alle aree in cui incontrare individui più o meno piacenti fa sì che gruppi profondamente distanti per estetica e cosmetica si trovino spesso in contatto con reciproco disagio.
Le barriere economiche possono solo ridurre - e mai eliminare - la possibilità di persone molto belle di trovarsi intorno persone molto brutte - e viceversa.
Il bisogno di entrambi i gruppi di muoversi nello spazio per motivi di lavoro o svago genera infatti momenti di tensione negli spazi comuni e sui mezzi pubblici - momenti ironicamente sottolineati dalle pubblicità sulle banchine e sui vagoni, sostanzialmente distinguibili in pubblicità destinate ai belli e pubblicità destinate ai brutti.
Nasce da questa difficile convivenza il giardino ariano.
Finalmente, stanca di attendere riforme in merito, la società civile ha reagito - partorendo spontaneamente quello che oggi si può considerare uno dei più riusciti esperimenti in materia: il giardino ariano è un modesto appezzamento di terreno non recintato, delimitato a est e ovest da una rada boscaglia, a sud da un piccolo fossato e a nord da un sentiero di terra e sassi.
All'interno di quest'area, nei giorni di sole hanno spontaneamente deciso di radunarsi ragazze e ragazzi veramente molto belli.
Il canone che circoscrive l'ambito di questa "bellezza" è rappresentato e personificato da un ristretto e variabile gruppo di ragazze e ragazzi veramente molto belli che presidiano la zona dalle prime ore del mattino fino alla chiusura dei cancelli del parco all'interno del quale il giardino si ubica.
Sono le cosiddette prime linee - individui scelti che ribadiscono ogni giorno gli standard atletici e fisionomici richiesti a chi volesse sostare nell'area.
I giorni di sole offrono alle prime linee le migliore condizioni per adempiere al loro dovere - vuoi per la possibilità di mettere in maggior risalto le loro eccellenze fisiche vuoi per l'assenza di fango sotto ai loro glutei torniti.
Nel corso della giornata si affiancano loro altri manipoli di ragazze e ragazzi veramente molto belli di ogni parte del mondo e apparentemente capaci di parlare tutte le lingue tranne la vostra.
Verso le quattro del pomeriggio nella stagione mite e verso le sei in quella calda si raggiungono le massime concentrazioni di individui molto belli - che si dispongono a macchia di leopardo attorno alla cellula primaria.
Piccole porzioni di prato vengono lasciate libere per permettere ai curiosi di osservare da vicino le dinamiche del giardino ariano - un'intrusione tollerata col fine di lasciar nascere e circolare storie e leggende attorno agli eletti che frequentano il giardino.
Capita che alcuni di questi visitatori siano ragazze e ragazzi carini - che segretamente sperano di essere scambiati per ragazze e ragazzi molto belli dai passanti distratti.
Ma sarebbe un errore grossolano: l'individuo molto bello è facilmente riconoscibile da una molteplicità di fattori - non certo solo dalla tonicità dei tessuti.
Anzitutto, il molto bello si sposta solo in branchi piuttosto numerosi (in assenza dei quali si sente perso e si affida alla cartografia), organizzati secondo una gerarchia assolutamente e rigidamente orizzontale. Nel branco del giardino ariano non sembrano esserci capi, caste, coppie o qualsivoglia ulteriore legame tra i propri componenti. Nessuno appare mai particolarmente stanco, entusiasta, turbato, irascibile, perplesso o depresso: i muscoli facciali si muovono in un ristretto range d'ampiezza - limitandosi a comunicare all'esterno un diffuso benessere e una stupefacente igiene dentaria.
E ancora. Le ragazze e i ragazzi veramente molto belli non si guardano in giro:
i loro sguardi non incrociano mai quelli telescopici di ragazze e ragazzi brutti e carini ai limiti del giardino. L'unico comprensibile bisogno che i molto belli vengono a soddisfare in questa loro piccola oasi omozigote è quello di conversare con persone di ugual bellezza - l'amabile sensazione di avere davanti un viso sicuro di essere bello e altrettanto convinto della vostra bellezza.
Una sensazione paragonata - da chi l'ha provata - al mangiare la panna cotta senza caramello.
Unico ulteriore svago è appaltato agli esercizi fisici non necessari - vale a dire acrobazie, piroette e posture tra le più bizzarre, atte a ribadire la non necessità dei veramente belli di allenarsi o esercitarsi.
Non esiste bello che si adoperi per rimanerlo: nel giardino ariano c'è il sole ma nessuno lo prende.
Il sole su di loro è già passato.
Verticali e capriole rimangono però forte tentazioni cui il ragazzo veramente bello spesso cede, e come giovani dèi li vedi giocare a lanciar saette sui mortali.
Proprio mentre abbozzavo quest'articolo sdraiato sul prato del giardino ariano a pochi metri dal nucleo delle prime linee lungo il confine est, un ragazzo veramente bello, a non più di trenta centimetri dalla mia penna, camminava con l'intero peso del corpo sui palmi delle mani - senza alcun interesse per mie eventuali invidie.
E anche a testa in giù, il suo viso rimaneva veramente molto bello - più del mio a testa in su dopo dodici ore di sonno.
Nei pomeriggi d'osservazione trascorsi nel giardino ariano, nulla è veramente accaduto.
Sui miei quaderni un solo evento trascritto: una ragazza veramente molto bella, vestita di rosa dal mento agli alluci, si presenta con in braccio il suo pet.
E' nota la spiccata sensibilità delle ragazze veramente molto belle per gli animali di piccola taglia, capaci di attirare la loro attenzione ben più di un maschio di qualsiasi taglia. Questa volta però il pet in questione è un piccolo maiale nero da passeggio, e sarebbe stato lecito aspettarsi reazioni differenti e imprevedibili.
E invece, d'un tratto tutte le ragazze e i ragazzi veramente molto belli del giardino ariano si alzano e circondano il maiale - ridendo, simulando baci, abbracci e improbabili cullate. I visitatori del giardino ariano cercano ugualmente di avvicinarsi, forse per entrare in contatto con i ragazzi veramente belli, che improvvisamente appaiono umani e vulnerabili.
Ma nulla di tutto ciò accade: gli occhi azzurri e grandi e veramente molto belli dei ragazzi del giardino ariano restano fissi sul maiale.
C'è da dire che, effettivamente, era un maiale veramente molto bello.

Le buone azioni

Come sei giusto seduto lì.
Seduto nel locale giusto, a sentire un concerto - come sembra giusta oggi la musica ascoltata dal vivo - accanto a una ragazza giusta, una con cui sei giusto.
E parli di quando questo weekend andrai giù in abruzzo ad aiutare, comecosacome non lo dici. Dici che è giusto e io non dico niente.
Forse perché è giusto e non c'è niente da aggiungere. Ma mica è un vestito che puoi metterti per le grandi occasioni, per la terra che trema e l'italia che affoga.
E giù con la controretorica dell'essere giusti sempre.
Si fa prima a non essere giusti mai.
Forse è il caso di essere belli. Perché le cose belle sono più di quelle giuste. Forse è il caso di trovare cose belle, di trasformare la merda in oro, di trasformare l'oro in acqua potabile.
Forse il giusto è un modo come un altro di cercare di esser più belli.
94. L'ultimo autobus di Milano con predominanza di italiani - gioiello della azienda trasporti milanese. Fa un giro stretto e indisturbato per le vie di Milano che meritano gli italiani.
Le altre sono terra di pirati, sono di chi se le prende. O almeno così le tratta: la 94 passa lungo le boe, fin dove i clienti del villaggio vacanze possono spingersi col pedalò.
Ci salgo per allungarmi i viaggi che potrei fare col metrò, che mi nasconde tutto come se tra una fermata e l'altra il mondo stesse svelando i suoi trucchi.
Ci salgo anche oggi, dopo aver fatto la coda in edicola dietro a un vecchietto che cercava un giornale di laggiù - in modo da avere le notizie più fresche, più vicine a quelli che stavano tremando.
Da dove abito io, alla 94 ci arrivi con la 70 - che invece recita Bruzzano e ogni tanto cimitero, quattro fermate in città e poi su verso nord col suo carico di assonnati e grossi sacchetti.
La formazione stamane: due trans, tre vecchi, tot cinesi, due trentacinquenni con le mani sudate e complesso d'Edipo.
Io lo so già: alla prossima saliranno. I controllori in piazzale Baiamonti sono affidabili come i cieli grigi a Milano dopo le nottate di bagordi.
E infatti: tanti e come al solito sproporzionati in tutto.
Non si può fare bene un lavoro del genere senza agire male.
Così oggi: nera alta magra bella ma con quel cranio che farebbe felice i frenologi vede tardi e si lancia per cercare una timbrata fuori tempo massimo.

parentesi_Per una mai chiarita clausola da romanzo futuribile, l'ATM valuta l'intenzione. Mettiamo che effettivamente la nostra amazzone (come in effetti è stato) riesca a timbrare prima che il braccio inamidato del controllore le si stringa addosso come un boa. Non basta. Il controllore ha la facoltà di stabilire quando un biglietto timbrato è tale solo in conseguenza dell'apparizione di uno o più controllori. In altre parole, quello che ho fatto per dieci anni di scuola: biglietto in mano, gomito sulla timbratrice, occhio vispo e attento anche nei giorni che proprio no per anticipare con un solo movimento la salita dei perfidi. Un giorno che ero meno vispo timbro che il loro tentacolo mi è già addosso. E sorrido come chi crede che la legge sia cosa scritta. Ti ho visto timbrare mi dice, sentendosi un ibrido di uomo e telecamera. Bravo dico io, ma hai perso.
C'è la possibilità che la legge che stamattina ha incastrato la nera sia nata proprio allora, davanti alla mia faccia da culo. Devi timbrare quando sali, dice, e se ti vedo timbrare allora non vale.

E dunque: lei dice ho timbrato e in effetti ha. Penso pensi Ne avrò fatte mille e non ho lo straccio di un permesso di soggiorno, non posso mandare tutto in vacca per un biglietto – perdipiù – timbrato.
Io ce l’ho – e vedo che le cose non si mettono bene. Lei non scende, loro la accerchiano come se esistesse qualcosa di importante per cui accerchiare – come se esistesse qualcosa di importante e comune. Lei tace e urla e l’autista non riparte e la gente freme perché è tardi e nessuno ha una buona opinione dei controllori e dei neri neanche ma tutto sommato sono loro a dire al conducente non partire - quindi. E dato che a lui non si parla a loro si urla. Ma già là si parla di polizia e la controllora tra gli altri controllori alza la voce pure lei e se potesse dio se potesse tirerebbe giù un negradimerdadeviscendere. E io ho un biglietto timbrato giusto di intenzioni e di inchiostro e meno problemi di lei. E penso che ora mi alzo, vado là e dico eccolo il suo biglietto ce lavevo io che cazzo volete. Non faccio in tempo a scegliere di non farlo che lei scappa giù e ti voglio a riprenderla.
Una buona azione in meno.
Voler fare buone azioni è tutto sommato credere ci sia bisogno di te. Augurandosi che il male non cessi e che il bisogno continui.