martedì 8 novembre 2011

Come andare in esilio oggi.




Nel mio quartiere c'è una piccola agenzia di viaggi che tratta esili.
Banalmente, si occupano di trovarti un posto da cui non si possa scappare e dove non ti si possa trovare.
Chi riesce a tornare in tempi brevi è rimborsato.
Guardo la vetrina oltre gli alberi svenuti del viale, e decido che se non ora quando.
Entro, chiedo, mi siedo, spiego e mi girano lo schermo del computer per farmi vedere meglio dove finirò.
Un punto che rimaneva tale nonostante gli zoom, un ammasso di pixel circondato dal mare di google maps.
Il mio esilio si chiama Tristan Da Cunha, una colonia inglese che non ha nulla da offrire - se non la conferma che accoppiarsi tra consanguinei non ha mai prodotto bei ragazzi.
Un vulcano in mezzo al mare, equidistante da Africa e Sudamerica, sulle cui pendici qualcuno ha deciso di insediarsi - forse in seguito a una delusione amorosa. Un avamposto sul nulla, senza aeroporto e persino senza porto, ma miracolosamente abitato.
262 cristiani (in senso stretto) felicemente condannatisi a 90 chilometri quadrati di spasso, sovrastati da un vulcano che potrebbe far finire tutto da un momento all'altro, avvezzi a ristrettezze d'ogni sorta.
La storia di Tristan Da Cunha è breve e tutto sommato parecchio triste, ma merita di essere raccontata.
La avvistano già nel 1500, ma nessuno è così fesso da fermarsi.
Lo sarà nel 1810 Jonathan Lambert, un americano in fuga dal Massachussetes approdato sull'isola dopo aver comprato la bussola in un emporio cinese.
Passa un paio di anni sull'isola pensando spesso a Lisa e alla cheesecake, prima di morire stupidamente inciampando sugli scogli. Gli inglesi ne approfittano per piombare sull'isola e piantarci una bandiera, nella speranza di farla diventare una trattoria per balenieri o per portoghesi che cercassero ristoro lungo la via per l'Oriente.
Non passa che qualche anno e viene inaugurato il Canale di Suez - che rende oltre modo sconveniente circumnavigare l'Africa.
I naufraghi diventano dunque l'unico target nonché carta imprevisti dei Tristani - reietti inglesi che con grande calma si stavano riproducendo.
Per oltre un secolo la vita sull'isola procede quieta e i legami di parentela si infittiscono, anche perché, anno dopo anno, trovare qualcuno con cui accoppiarsi che non abbia già il tuo cognome si fa sempre più arduo.
A dare una botta di vita a un tran-tran di patate e mare in cui è meglio non fare il bagno, ci pensa il vulcano sopra le loro teste - che una notte ricopre di lave centocinquanta anni di inutili sforzi.
E' il 1961. Chi riesce a mettersi in salvo andando al largo con le barche, viene recuperato da Madre Inghilterra - che li trasferisce pietosamente in patria.
Succede dunque che 300 persone ferme al secolo prima, scoprano d'un tratto a che punto fosse arrivato il mondo, quello oltre il mare lunghissimo. La visione non ne seduce che sei su trecento: gli altri 294 non resistettero che due anni nel nuovo mondo. O forse era semplicemente il tempo necessario per far raffreddar la lava.



Da allora, i Tristani proliferano (poco) e resistono (indubbiamente), vendendo a prezzi credo orrendi i loro francobolli a qualche feticista filatelico e tosando pecore.
Se non ci fosse il vulcano di mezzo, la vedresti tutta in motorino in un pomeriggio.
Ti rimangono prati, scogliere e un paesino - Edimburgo dei Sette Mari - nome di tributo al Duca di Edimburgo, nobile che andò in visita agli isolani - un evento mica da ridere da quelle parti.
Nelle vicinanze, altri sassi ricoperti d'erba spuntano dalle acque, ma i loro stessi nomi non sembrano lasciar adito a proposte di espansione dei Tristani: tra gli altri, spiccano la deserta e selvaggia Nightingale, paradiso di chi preferisce i pinguini agli umani, e soprattutto l'adorabile Isola Inaccessibile - il cui nome dice tutto, anche che qualcuno di sicuro c'avrà provato a.
Per incontrare senzienti bisogna pazientare per 2500 km di oceano, distanza che divide l'isola dalla più nota Sant'Elena, che a confronto sembra Porto Cervo.
Compro il pacchetto esilio e ricevo le istruzioni di viaggio.
Si parte da Città Del Capo, sul postale o su pescherecci con massimo 12 fulminati a bordo.
Una settimana di navigazione e una volta vicino all'isola una barca farà da spola e verrà a prenderti sulla nave al largo, perché per l'appunto il porto non c'è.
Giunti sull'isola, saranno solo otto all'anno - tempo permettendo - le possibilità per pentirsi.
Il che vuol dire che un paio di mesi minimo ti toccano.
Tanto sarà il tempo a disposizione perché Tristan Da Cunha riesca a farmi innamorare, riesca a fare di me l'atteso 263esimo tristano. Intanto io mi sto preparando.
Chi volesse può cominciare da qui, il sito ufficiale dell'isola - vasto e completo di ogni informazione, con mappe, vedute aeree, pessime grafiche, informazioni circa la forma di governo che l'isola si è data - con tanto di costituzione, le case in affitto, come arrivarci (prezzi e calendario), dati su come sostenere il loro folle progetto e una sezione per geologi guardoni.
Per entrare invece un po' nel day-by-day dei tristani, è meglio rivolgersi a tristan times.com - il giornale dell'isola che documenta alacremente tutto quel poco che c'è da documentare. Sostanzialmente, se sbarcate sull'isola, già finite sul giornale.
Quelli che vi verranno incontro al molo e sembreranno non riuscire nemmeno a respirare per l'emozione sono però semplicemente afflitti da una particolarissima forma di maxi-asma endogamica che interessa circa il 70 per cento della popolazione.
Credo che sia per questo che vanno così poco ai concerti.


Morte Agli Aeroporti

Morte all'aeroporto.
Alle pianure che rende odiose, già quando le vedi dal finestrino prima che parta l'applauso dei burini.
Morte ai suoi colori pavidi, al grigio auto e all'azzurro banca.
Morte alla sua mouquette strappata alle pizzerie in franchising e ai dentisti tristi.
Morte agli architetti delle tubature chic a vista, dei sedili futuribilmente scomodi.
Morte agli spazi inutili, alle vip lounge, ai viali dello shopping unto, ai profumi da vecchia, agli alcolici che non costano meno da sette anni.
Morte al toblerone e ai tempi inutili.
Morte alle facce da figli di puttana, alle puttane coi figli annoiati, alla gente che gode a stare un'ora in fila all'imbarco come se qualcuno potesse fregarle il fottuto posto numerato.
Morte agli aeroporti dove nessuno resta, dove chi resta la notte si lamenta perché avrebbe dovuto dormire in un posto migliore.
Morte ai saponi scadenti, ai dosatori anche troppo intelligenti, morte ai lavandini a fotocellula che vomitano acqua calda e schiumosa.
Morte alle bombe che non si trovano e a chi le cerca, morte al sospetto che tutto avvolge.
Il sospetto che tu abbia un coltello, la speranza che quello davanti a te suoni al detector, la speranza che gli trovino un coltello.
Morte, tutt'attorno.
Non un mercato, non un panettiere, non uno spacciatore.
Girati, c'è il treno grigio banca che ti porta dritto in centro - dove non c'è più un mercato, un panettiere, uno spacciatore.
Tra l'aeroporto e il centro, il prescindibile.
C'è bisogno di andarci in centro?
Restate in aeroporto, comprate leggete e addormentatevi vicino al vostro gate, così quando imbarcano siete i primi in fila.