Puzzo di scarpe. Annusavo il corriere omaggio sicuro non venisse da me.
Cielo epico, atlantico. Cielo per rivoluzioni, per eroi popolari vestiti di cenci.
La negra dietro di me sa di fragola sintetica.
Le nostre automobili sono sempre più laviche, colate di metallo senza giunture.
Il motore dell'aereo invece è tutto un rammendo. Lo si rispetta come i giocattoli di latta, ma si fa fatica a immaginarlo reduce da chissà quali test, revisioni e gallerie del vento.
Telefoniamo da astronauti e voliamo da pakistani.
Arrivare nelle città dagli aeroporti. Pianure odiose già prima che parta l'applauso dei burini. Scendi. Grigio audi azzurro banca mouquette strappata alle pizzerie in franchising tubature chic a vista sedili scomodi come il futuro tempi inutili toblerone facce da figli di puttana puttane coi figli annoiati saponi scadenti spumosi schiumosi come l'acqua dei lavandini a fotocellula bombe che nessuno trova e forse ma solo forse qualcuno cerca.
Si prendono treni, navette, shuttle, metropolitane e corriere che puzzano di sedili.
Si tenta una diagnosi sullo stato del paese e della regione dalla condizione degli stessi, e da quanto i sedili sono in orario.
Si guarda fuori dal finestrino e ci si lascia tutto alle spalle, come si stesse scartando in fretta un regalo con decine di strati di carta, ansiosi di scoprire cosa nascondono.
Il fulcro è il guscio di un animale morto.
Il centro storico, quello che la città era.
Finché non si è arrivati all'epicentro di tutto quel cemento, alla luce del quale tutto il resto è prescindibile emanazione, non ci si sbilancia, si evitano sentenze.
Da venti minuti mi passano a fianco binari, cemento, vetri rotti, cavi, senegalese che corre, palo, casa, parcheggio, campetti, dappertutto posti dove nasconderei cadaveri.
Lo fanno apposta, vogliono che Notredame mi appaia più splendente di quanto già è. Eppure.
Negli interstizi lungo i tratti sotterranei della metro non c'è un centimetro libero dalle bombolette. Grotte affrescate che nessuno vedrà mai abitare. Però qualcuno ci arriva lì sotto.
Eccoli gli eroi che il nuvolare atlantico cercava. Si fermava davanti a ciò che per noi ha a fatica la dignità per scorreci accanto.
Lo facciano senza avere un'idea del perché o con una consapevolezza del prima, del dopo e del mentre, sono l'unico segno di vita da De Gaulle a Notredame.
Non che a Notredame ci sia vita, per carità.
Locali zeppi di gente che cerca buone ragioni per essere in ritardo, gli ultimi due bicchieri già bevuti col cappotto addosso - condendo di commiati conversazioni che per altro non andavano da nessuna parte.
Quando ripasserò sei ore dopo, saranno ancora lì. Impossibile tentare di capire se sono gli stessi.
E tutto sommato inutile.
3 commenti:
Se tempo fa era "la messa", cioè un compromesso morale, il mezzo per venire a capo di Parigi e regnarvisi, oggi lo è una bomba? Paris vaut bien une bombe. Anche in francese rende.
Direi che è un punto di vista piuttosto interessante, ci sarebbe da parlarne un bel po'.
Chapeau.
Da una Brianza troppo appiccicosa a un'arida Parigi.
Poi le terre gialle e piatte, un'orizzonte lontano. Di un vuoto che si sostituisce alla sensazione di caos che caratterizza l'umidità di Milano. Di un'ingenuità frivola e sprezzante, che ti fa cadere ad amare ogni stupidaggine, tra sorrisi ed un corso d'acqua. Ma scorre tra le foglie morte.
È un silenzio massacrante. Torri di pensieri e muraglie di fantasia, vigili soldato cantano inni stonati.
È terra bruciata che non è certo la Senna a far rifiorire.
Di un romanticismo che tenta di sedurre carni esangui.
Profumi di cioccolato e forme supreme sfilano senza sosta, qui davanti. Ma è forse possibile mantenere i sensi vivi senza spasmo cardiaco?
Il fascino di Parigi pare allora uno specchio di sentimento. Nella Senna non ci si immerge, non si osa nemmeno carezzarla con l'unghia per timore dell'impatto.
Sollievo tornare alle pedestri piogge locali che cadono su pelli impermeabili. E ripenso: le bombe, si specchiano nella Senna?
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