Quali che siano gli sforzi per, non c’è uomo che possa
vedere le proprie orecchie; ognuno sarà costretto, vita natural durante, a
fidarsi degli altri, del tatto, dei riflessi. Nessun’altra parte del corpo ci è
parimenti celata, se persino del naso possiamo avere una parziale esperienza
visiva diretta.
Naturale quindi che il rapporto con esse sia quello che si ha
comunemente con gli accessori – cui si richiede affidabilità e prestazioni,
ricambiate da affetto e incitazioni quando necessario.
Porto le stesse orecchie da trent’anni
e, arrivato a questo punto, mi è sembrato doveroso tracciare sommariamente una
storia del nostro rapporto, della fiducia reciproca, dei giorni bui e delle
battaglie vinte.
Eccezion fatta per chi riesce a muoverle, i primi anni con le
proprie orecchie non fanno di norma registrare eventi di una qualche rilevanza:
le sfide cominciano più che altro con l’ingresso in società. L’asilo materno ci
pone infatti davanti a una moltitudine di orecchie, e da subito sembra dirci
spera di averle uguali agli altri. Nonostante la forma di qualsiasi orecchio
abbia qualcosa di oscuro e inspiegabile, i bambini sono abili e lesti
nell’individuare quelle oltremodo aliene, più comunemente note come orecchie a
sventola. Fino all’adolescenza – compresa, nei casi limite – ci è fatto credere
che le orecchie a sventola siano un ostacolo concreto a una vita sociale
normale. Gli adulti partivano da lì per introdurci alla ginnastica della
discriminazione, una pratica più avanti tristemente condita da mille altri
ugualmente vani argomenti. A detta degli altri, le mie orecchie sembravano in
regola.
Procede liscio perciò il primo ciclo di studi, alla fine del quale si
scopre la possibilità del genere femminile di un’ulteriore customizzazione –
che consiste banalmente nel praticarvi un buco e appenderci qualcosa.
Un’esclusiva che decade pochi anni più tardi, quando, grazie a Maradona,
l’Italia si dichiara possibilista circa il fatto che anche i maschi possano fare
altrettanto.
Affascinato dall’opzione, a sette anni circa, mi documento a
proposito, ma vuoi per la lontananza della mia famiglia dall’immaginario di
Maradona vuoi per la mia paura delle cose-che-ti-pungono, rinuncio. Nel
frattempo comincio a sperimentare le prime significative esperienze uditive,
tra le quali si distinguono Past Masters dei Beatles e il rumore del motore del
primo aereo su cui sono salito – incredibilmente più fragoroso di tutti quelli
presi dopo.
Le prime immersioni in mari di vacanza con genitore divorziato mi
introducono invece alla pratica della compensazione, un rimedio popolare (che
consiste nel chiudersi il naso e soffiare forte finché non si sente stap) a
delle complesse leggi fisiche che più tardi non avrei comunque veramente capito.
A dodici anni sbaglio manovra su un fondo sabbioso sotto diversi metri d’acqua
e mi ritrovo a sanguinare per due settimane con conseguente annullamento di mia
partecipazione alla corrida di un comunissimo villaggio vacanze, in cui avevo
deciso di proporre un numero comico con esibizione canora finale di Keep
Yourself Alive dei Queen (profondamente convinto che gli animatori avrebbero
trovato la versione “solo base” del pezzo). Negli anni seguenti si cerca di
riparare all’incidente, che aveva decisamente incrinato il rapporto tra me e le
mie orecchie, promettendosi vicendevolmente rispetto e pazienza.
A quindici
anni, io e loro entriamo per la prima volta in una sala prove: il colpo di
fulmine è funestato dai colpi di rullante, ai quali le mie orecchie reagiscono
ordinando agli occhi di chiudersi a tempo (un meccanismo che rende perlomeno
complicato suonare un pezzo dall’inizio alla fine). Con l’abitudine si riesce
pian piano a eliminare il problema, ma ancora oggi, nei giorni no, le mie
orecchie mi ricordano quel giorno oscurandomi il mondo a intermittenza.
A
diciassette anni vado a un concerto dei Motorhead e, nonostante la mia
abbondante dieta di decibel, vengo
sopraffatto e tappo i padiglioni.
A diciannove anni posso finalmente ascoltare
la musica in macchina e lo faccio alzando finché non si sentono più gli abbassa
di quelli dietro.
A vent’anni le mie orecchie cominciano a fischiare e lo fanno
per tre lunghi giorni, durante i quali visito dottori che mi fanno sentire
dell’elettronica minimal per capire se ho qualcosa che non va.
Ma il fischio
passa com’era venuto e neanche un anno più tardi sono a un rave a vedere tipi
tedeschi ballare molto meglio di me con la testa infilata nei coni
dell’impianto. Li trovo bellissimi, e comincio a pensare che molte cose bellissime
sono anche stupide.
Negli anni seguenti cerco lettori cd portatili che abbiano
un volume decente, nell’inconclusa lotta sui decibel che oggi ancora divide i
condomini, i quartieri, le città – vietando festival e mandando forze
dell’ordine contro onde invisibili. Persino gli apparecchi per la riproduzione
privata se non intima, cominciano a mostrare i segni dell’orrenda repressione,
quale ad esempio la tetra opzione per il limite volume della Comunità Europea
che si insidia in telefonini e lettori mp3 (chi l’ha attivata di sua sponte
parli ORA).
L’ultimo significativo evento sonoro risale però a un paio di anni
fa, quando, allo Zoo di Berlino, un leone, giustamente sfiancato dal servizio
fotografico di un dodicenne+smartphone, ha deciso di ruggire come il leone dei
film. Un rumore assordante, capace di scaraventare a terra dodicenne+smartphone
e di far fuggire tutti gli astanti verso la zona giraffe, dove obiettivamente
non può succedere granché. Io invece sono rimasto lì, dopo tanti anni di nuovo
stupito da un suono e grato alle mie orecchie, che si sono rivelate anche
sensori di animali feroci o semplicemente incazzati – forse la prima funzione
per cui qualcuno ce le ha montate ai lati della testa.
9 commenti:
Questo post è bellissimo.
Io ho le orecchie a sventola. Solo una però.
E millantando un'autostima feroce vado in giro dicendo che sono "indice d'intelligenza".
(...a questo punto però dovrei ripensarci, perchè per logica sarei dunque mezzo-intelligente).
Il Dragogna potrebbe scrivere anche di forfora e risultare incredibilmente appagante e fluido da leggere.. :D
Le mie ascoltano voi. Siamo felici entrambi.
Anche io ho un orecchio a sventola..anzi, l'avevo. Da adolescente l'ho fatta operare...unico modo per poter tagliare i capelli corti secondo mia madre (?ascoltavo mia madre per i tagli di capelli???). E adesso lui, come l'altro, soccombe sotto "Le nostre condizioni" a palla e non vede l'ora di fischiare ancora post concerto...ancora un mese ahimè...
Mi chiamavano spok
Differenza tra dodicenne che fa foto al leone e uomo che va allo zoo per vedere il leone ce n'è mica tanta.
E l'otite? dove mettiamo l'otite?
Anonimo hai mai visto un leone passare la sua vita a guardare i documentari sui leoni?
..Non avevo mai pensato che la storia delle orecchie di qualcuno avrebbe potuto essere interessante...e grazie a questo post ho ringraziato (senza vederle, sulla fiducia) le mie orecchie che mi permettono di ascoltare il vostro ultimo e grandissimo disco...
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