mercoledì 28 gennaio 2009

Mangiare insieme.

Perché dobbiamo mangiare insieme?
Mi alzo da tavola e alzo la voce.
La domanda è spudorata, la risposta è nota - ed è noto che convenga non dirla.
Si mangia insieme, punto.
Come leoni che dilaniano una gazzella, come le anatre che si azzuffano, come gli elefanti e le formiche.
Si mangia per sopravvivere, si mangia insieme per sopravvivere insieme.
Si resiste, insomma.
Lo dice la tavola apparecchiata: il pasto cristiano è a numero chiuso.
Al centro non c'è la gazzella, ma attorno bisognerà sembrar leoni.
Perché là fuori altre famiglie hanno apparecchiato e altre famiglie tentano di tenere insieme i pezzi.
Teniamo insieme i nostri. Da soli non riusciremmo a mangiare: troveremmo solo tavole già apparecchiate.
Le direi di sedersi ma c'è da mangiare solo per noi.
E così ci si riempie i bicchieri d'odio e li si butta giù col naso tappato, fino ad ubriacarsene e abbracciarsi quando è finalmente giunto il momento di tornare a casa.
Quando hai otto anni incassi.
Quando ne hai quindici o smetti di mangiare o bestemmi o incassi.
Quando ne hai venti ti dicono che non vale la pena, che crescere vuol dire incassare.
Quando ne hai molti di più, sei tu a dover dire
sediamoci
parliamo di qualcosaltro
siamo a tavola.

venerdì 23 gennaio 2009

Grossi Insetti Dovunque

Gli scudi non ti stanno dicendo resisterò, né attaccami: dicono non puoi nulla.

E ti dicono il nome – perché era l’unico spazio rimasto per scrivercelo. Ovvero, carabinieri – in diagonale, come per un timido slancio futurista del designer antisommossa.

Non ce l’ho con te, pensi penseresti ne avessi di fronte solo uno. Ce l’ho con te tutti pensi. Bloccano la strada, proseguono con le spalle la facciata di un teatro abituato a veder vecchie impellicciate la sera e vecchie impellicciate – ma dell’unica che hanno - la mattina.

Arrivo che non si vedono che loro. C’è il sole, abbastanza da far brillare i caschi e rinunciare a contarli. Fatemi passare quello è mio figlio non funziona. Dietro di loro ce ne sono solo altri e altri e altri e il Conchetta ferito e altri. La kefiah basta a evitare confusioni sulla natura del mio sguardo. E poi guarda che capelli lunghi ha.

Sul loro c’è scritto noi – semplicemente – abbiamo le armi. Punto. Tutto qui. E tu non sei un’arma, sei un corpo che si può trascinare per terra senza che vengano fuori i lividi. Faccio il giro. Dall’altra parte sono siamo in tanti, e loro pure. Muoviamoci. E muovendosi ci si sente valanghe che ingrassano di metro in metro. Fermi le macchine e sorridi, ti senti in mezzo a un branco di deficienti che hanno finalmente imparato a far le bolle di sapone e ne fai tante da intasare i motori degli aerei e farli crollare nell’oceano. Anche perché il misto di serietà e gioia che ti fa sentire così bello, da fuorideve sembrare pericoloso. Siamo un’arma, finalmente.

In via Vigevano tentano il sorpasso sulla destra, correndo goffi sul marciapiede – appena ingobbiti come bambini che giocando a sparviero credono ricurvi d’esser più rapidi.

Sono finalmente meno. Gli insulti si fanno personali, perché si vedono le facce – e se fossero abbastanza scoperti da svelare difetti fisicie malformazioni non esiteresti ad approfittarne. Si battono i piedi e a tempo li vedi tremare coi loro begli scudi firmati. L’odio il mio il nostro funziona solo quando ne hai davanti di più. Ora è già diventato altro. E’ potere, e credi di poterlo maneggiare – perché hai visto quanto logora. Qualcuno conferma il contrario e già pensi al peggio quando il nemico al fine si rimpolpa, e di nuovo ritorni minoranza.

Nemico perché in fin dei conti gioco è. Da dove la vuoi guardare, sei cresciuto trattenendoti dal tirar le cose a tavola – perché gliadulti sono tali prima di tutto perché non si tirano le cose. E invece qui tutti si tirano/tirerebbero le cose. Quindi loro SONO il nemico. E vaffanculo.Tu ti muovi e loro ti seguono come grossi insetti. Per lunghissimi attimi è esattamente così. Seguono lunghe sbronze di civilismo, di sentirsi cittadini –e ci si rimbocca la tunica come chi sta andando a deliberare nella boulé. Che dovrebbe essere insieme punto di partenza e di arrivo della Storia Nostra. Ma dove comincia la ragione qualcos'altro è finito. E sei di nuovo uno, gli altri sono altri e non vedi più trecento cuori – vedi trecento orgogli.