mercoledì 5 novembre 2008

Il nostro Obama

Nella notte del trionfo di Obama - capace di avere la meglio addirittura su Alfredo McCain, uno dei barili per aringhe più carismatici del mondo - rischiamo di perdere di vista l'ugualmente importante nomina del nuovo assessore alla cultura di Milano.
Il vento è cambiato.
E' finita l'era dei writer invitati a merenda a Palazzo Reale, sono finiti gli Sgarbi quotidiani alla nostra sete di sapere.
Letizia ha scelto e la scelta di letizia ci riempie.
Finazzer Flory è il suo nome.
E anche se non sembra un nome, ma una marca di copriwater molto chic, saprà entrarci nel cuore - come quello di Obama è entrato nel cuore di milioni di americani.
Torna la cultura, insomma.
Quella vera: quella che si veste con la maglietta elastica nera a collo alto, quella con il teschio in una mano e Shakespeare nell'altra, la cultura fatta guardando l'orizzonte dalle scogliere, la cultura dai capelli brizzolati.
Una cultura che non ha paura di affrontare il problema writer: se sapete trovarmi un'artista vero tra questi imbrattatori, gli faccio dipingere pure casa mia - è stata una delle prime uscite del nuovo beneamato assessore.
Finny caro, non vediamo l'ora.
Di entrarti in casa.

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sabato 11 ottobre 2008

Modelle - le apolidi del nuovo secolo

Nei tram milanesi ci sono tre uscite e un buco da cui entrano le modelle.
Le modelle sono donne orribili e disoccupate: hanno bocche enormi, denti bianchissimi, e gambe sproporzionate.
Quando salgono, tutti le guardano e dicono qualcosa a chi è accanto.
E' impossibile abituarsi e pericoloso avvcinarsi.
Ancora non si sa cosa potrebbe accadere violando deliberatamente il silenzio non scritto che si autoimpone ogni qualvolta una modella decide di turbare la quiete del tram.

La prima preoccupazione è di carattere educativo: come reagirebbe un bambino se vedesse un comune cittadino parlare con una modella?
Nell'impietosa piramide sociale che tutti ci impila, nulla è al di sotto delle modelle - ancora oggi private del diritto di cittadinanza.
Le poverette - condannate dalle loro malformazioni - faticano a confondersi tra la gente e sono costrette a dover contare su loro stesse, sempre e comunque.
Non è raro vederne per le strade mentre tentano di venire a capo di una cartina della città, dopo aver tentato senza successo di ottenere informazioni dai passanti.
Se possibile, è ancora più toccante vederle nutrirsi: con una mela e qualche sorso d'acqua sono capaci di sopravvivere una giornata intera - e le loro facce smunte sembrano non reagire neanche più alle abbuffate di pizze e focacce che le circondano.

Pietosamente, le case di moda hanno deciso da qualche decennio di usare le povere sventurate per la presentazione delle loro nuove collezioni.
Un atto di beneficenza - del resto a tutt'oggi è l'unico lavoro al quale possano aspirare - che nasconde una precisa logica di marketing: il consumatore si convince della bellezza del vestito notando come riesca a far sembrare graziosa anche una di quelle orribili creature capaci di far calare il silenzio sui nostri mezzi pubblici.
Ugualmente strumentale è l'abitudine dei grandi uomini d'affari di farsi vedere in compagnia di modelle nelle occasioni mondane - nel tentativo di promuovere un qualche altrimenti nascosto impegno nel sociale.
Purtroppo, anche quando è loro permesso apparire in discutibili dimostrazioni di compassione - non è loro concessa la parola.
Ci si limita a farle sorridere, per far sì che la gente da casa si spaventi e si commuova - davanti all'orrendo spettacolo di quelli orribili, enormi, bianchissimi denti.

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giovedì 9 ottobre 2008

Formiche in casa.

Ho le formiche in casa.
O meglio, le ho sempre avute.
Non te le danno con la casa, ma prima o poi appaiono.
Ti scelgono.

Vengono mandati piccoli gruppi in avanscoperta da un enorme formicaio centro metri sottoterra. Partono in una dozzina al massimo, a seconda della metratura della tua casa.
Spetta a loro comunicare al comitato centrale quanto l'appartamento in questione sia idoneo all'apertura di un nuovo formicaio: detriti per terra, buchi nei muri, dieta dell'inquilino, disposizione dello stesso all'uso di prodotti chimici per gli insetti e viceversa sue possibili simpatie verso l'entomologia.
I gruppi di perlustrazione sono facilmente individuabili.
Capita infatti di imbattersi in una singola formica, sperduta nel mezzo del tuo tinello.
Se la risparmi nella speranza di poterla seguire e individuare il formicaio, sei un ingenuo.
Andrà invece alla sede centrale a dire ci stanno aspettando.

Quando finalmente avviene l'insediamento del formicaio, fanno di tutto perché tu te ne accorga, non rinunciando a vendersi bene.
Invece di gettarsi in massa sul biscotto che da un mese giace sotto al tavolo della tua cucina, si fanno deliberatamente sgamare mentre camminano in colonna con fare disneyano lungo il muro.
Ho le formiche in casa - penso.

Ho messo una microcamera su una di loro - quella che rimaneva indietro nella fila - per vedere cosa combinasse tutto il giorno.
Ho guardato ieri sera i filmati raccolti in un mese di monitoraggio.
Due palle.
La formica si alza, rufola un po' nel formicaio senza un'apparente logica, esce che io sono già uscito, evita la mia stanza (come biasimarla), va in cucina, spera che io abbia fatto colazione, prende quello che riesce e torna alla casa base con umore variabile.
Insieme a lei, centinaia di altre formiche.
Non ci voleva un genio, ma sta di fatto che hanno capito che dalle 11 alle 17 in casa non c'è un'anima. Si muovono perciò in massa, oscurando le piastrelle e saltando sui divani.
Il filmato continua: la formica, un volta nel suo cantuccio, pare indecisa se fare un salto a raccogliere resti di sigarette mezze aperte davanti alla tv o se andare a nanna.
La registrazione si ferma allo scorso sabato sera: la formica, sicura di trovar la casa libera, esce, va in sala, mangia un pezzo di fumo rimasto nel tappeto, va in para e torna nel formicaio dicendo mi stanno spiando, ne sono certa.
Le altre, con un risolino, le mostrano la microcamera che si ritrova in mezzo alle antenne.
Le immagini finiscono qui.
Che tedio la vita delle formiche: alzarsi ogni giorno, andare a procacciarsi il cibo in un modo o nell'altro, tornare al formicaio, uscire la sera senza nessun motivo valido e scoprire che nonostante le tue giornate di merda c'è pure qualcuno che ti piazza addosso le telecamere.

Formiche

lunedì 6 ottobre 2008

Prima che incominci il film - ovvero del mangiar cani e comprare diamanti

L'ottimismo incondizionato è una particolare disposizione del consumo: quando si spende, si difende ciò per cui i soldi sono stati spesi - più della propria madre minacciata dalle tigri.
Prova ne sia l'ingiustificata speranza che si respira in una qualsiasi sala cinematografica prima della proiezione.
Ti strappano il biglietto, ti fai largo tra quei meravigliosi e mai lavati tendaggi in velluto rosso e trovi posto (un tempo: ora te lo appioppano all'entrata - servizio inutile dato che il problema non è mai la distanza dallo schermo, ma sempre la crapa di quello davanti).
E lì, una volta seduto, il miracolo.
Puoi essere andato consapevolmente a vedere la peggiore delle stronzate, ma finché lo schermo non te lo ricorderà impietosamente, ti sembrerà di essere percorso appunto da un inspiegabile ottimismo - e anche se solo, ti rincuorerai dicendoti magari non è poi tanto male.
Specie se la sala non è completamente piena.
Essere in cento in una sala da mille crea una sottile complicità tra i presenti: ognuno giustifica con la propria presenza la scelta dell'altro, legittimando il rischio e sottintendendo se fa davvero cagare, dimentichiamoci di essere stati qui.
Viceversa, quando si è in mille in una sala di mille vige una minore concordia - dato che nessuno ha il bisogno di un'altrui legittimazione.
Anzi, i poveri di spirito si guardano dagli sguardi che sembrano dirti tu sei qua per sentito dire.
Ma torniamo all'attesa.
La suddetta benevola disposizione dello spirito - derivante appunto dal dovere di giustificare i soldi ormai già spesi - poteva forse sfuggire agli sciacalli del marketing, ai subliminalisti di professione?
Mai sia.
Ed eccoci arrivati al punto - l'affascinante sequela di trailer e pubblicità che cercano di farsi largo come tenie nel nostro bendisposto organismo.
I pori sono aperti, entra tutto.
Entrano i diamanti - che ti rinfacciano con lunghi e ambiziosi spot in bianco e nero, con voce off sussurrante, spalla di donna, promessa di uomo, strattone di quella che hai a fianco che dice una banalità da bar sull'intrinseco ed eterno valore dei diamanti.
E ci fai un pensierino.
Entra la macchina sportiva - che ti mostrano snella e rapida su splendide strade tra i larici. E pensi che chi la sta guidando sta di certo andando a raggiungere una donna proibita in un cottage.
Anzi, meglio, esce proprio da quel cottage dove l'ha appena soddisfatta, e ora gira per la brughiera sicuro della sua mascolinità e dei suoi tot cavalli.
E ci fai un pensierino.
Entra il prossimo indifendibile legal-thriller con Denzel Washington - con quei chilometrici trailer che ti presentano antefatto, svolgimento, montaggio frenetico di scene del probabile epilogo (con frammenti di: sesso, inseguimento, pistola, corsa, abbraccio, panorama, sesso, esplosione) con finale di titolone che spezza il climax. In tre minuti sai già tutto della sceneggiatura - e pure del finale perché già Denzel Washington non muore mai, figuriamoci in questi tempi di antirazzismo dilagante.
Eppure, ci fai un pensierino.
Infine, se sei in un cinema padano, non potrai sfuggire alla Ca' Del Gulascia.
Un ristorante tipicamente lumbard che per ragioni ignote occupa da anni il suo posticino nel suddetto carosello cinematografico.
Non ci sono esplosioni, non ci sono diamanti: solo una foto coi colori del Mago Di Oz che ti mostra un cascinale dall'aria appetitosa.
E ti sembra di trovarti davanti un rimasuglio di una comunicazione antica, di un mercanteggiare più sano e sincero.
Per anni, sprofondato nelle pulciose poltrone dei cinema milanesi, mi sono trovato di fronte alla Ca' Del Gulascia.
Decido di vederci più chiaro - in questa anomala sopravvivenza.
Qualcosa scopro, ma non capisco se c'entri o meno: diversi anni fa una famigliola andò a mangiarvi e come spesso capita diede un pezzo di carne al cane sotto al tavolo. Questi però lo rifiutò con un atteggiamento insolito.
Due giorni dopo nelle cucine entrarono della Ca' Del Gulascia entrarono i carramba, e ci trovarono frigoriferi pieni di cani - mammifero poco gradito sulle nostre tavole.
Non seppi nulla dello scandalo. Io a quei tempi me la godevo al cinema.
E tifavo per la Ca' Del Gulascia, che sopravviveva accanto a Dior e Denzel Washington.
Me l'avessero chiesto, avrei pure assagiato un po' di cane.

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mercoledì 1 ottobre 2008

Perché i nodi vengono al pettine.

BELLOCCI E BELLOCCE: IL MISTERO DELLE FOTO IN VETRINA

Le foto sulle vetrine dei parrucchieri. E dei barbieri.
Perchè tutti le mettono. Chi le fornisce. Perchè cazzo tutti le mettono.
Dico tutti.
Dal gian-lui-davidd da 60 euro a sforbiciata al peggio barbierazzo di quartiere, quello che sa fare spazzola, militare e primo McCartney quando è in buona.
Chiome luminose di adoni, ciuffi impresentabili di lolitone.
Fotografie che paiono il retro di un vinile degli Europe e scatti patinati e lucidi come fossero unti.
Possibile che non ci sia un cristiano d'un barbiere in questo paese che decide di aprire un parrucchiere e di gestirsi la vetrina senza facce, senza la referenza di modelli mai visti e mai incontrati?
I tatuatori mettono i tatuaggi che hanno effettivamente portato a termine.
I parrucchieri no. Pescano a caso da cataloghi e moquettari umani.
Perchè tutti le mettono, cosa stanno cercando di dirci?

1. Qui dentro sappiamo farti i capelli come quelli del belloccio nella foto (ma devo essere già belloccio?).

2. Qui dentro entrerebbe volentieri anche il belloccio della foto, a farsi tagliare i capelli o anche solo a vedere com'è l'arredo.

3. Questo è un posto per bellocci.

4. Esiste un mondo di bellocci che si accoppiano con le bellocce della parrucchiera all'angolo. Tu non c'entri - scordatelo - sfigato.
Ora che l'hai capito, renditi conto che questo è il genere di posto in cui quelli come te vanno a farsi tagliare i capelli.


Dev'essere questa.

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APRIRE UN PARRUCCHIERE. PERCHE' NON CONVIENE.

Mettiamo che domani apri un parrucchiere, mettiamo che non hai amici, che sei in quartiere in cui non conosci nessuno.
Affitti il posto, lo arredi, compri i prodotti, assumi una sciampista.
Chi ti porta le foto? Quando decidi di metterle?
E soprattutto, come fai a farti una clientela?
Quante probabilità hai che qualcuno passi davanti, che pensi cazzo-mi-devo-tagliare-i-capelli, che non abbia già un parrucchiere di fiducia, che abbia con sè i soldi ed entri?
E anche se lo facesse, ne rimanesse pure entusiasta, quanti amici potrà mai convincere successivamente? Quanto tempo ci vuole perché questa catena possa darti i soldi per pagare la sciampista?

Un veloce calcolo.
Apri in quartiere X, solo nella tua via hai venti portoni, ventisei citofoni e una media di ventiquattro targhette per citofono. Facciamo due inquilini a targhetta.
Non ho voglia di fare il conto per benino, ma diciamo millecinquecento persone.
180 sono vecchi di quelli che o non ne hanno più o hanno altre cose a cui pensare, tipo non farsi sbranare il cadavere dai gatti.
100 si taglieranno i capelli da soli, perché io mica ho i soldi per bla bla (e allora fatti anche il pane).
100 se li fanno tagliare dall'amica che li taglia abbastanza bene tranne quella volta che.
200 calvi.
150 vanno giù di macchinetta per assomigliare a Cannavaro et similaria.
50 metallari che piuttosto che tagliarmeli.
30 rastoni.
70 lattanti di qauelli ancora glabri.
20 suore di professione - che avranno un circuito loro per far tutto.
40 amici, parenti, creditori del parrucchiere dell'isolato dopo.
Rimangono circa 500 teste potenzialmente seducibili.
400 di queste hanno già un posto dove vanno abitualmente.
Ti rimangono 100 zucche, di cui 12 in causa col loro ex-parrucchiere - e ancora parecchio intrattabili quando si entra in argomento.
88 persone su cui sperare, passanti di altre zone esclusi.
Un taglio ogni 2 mesi di media.
Un totale di 600 tagli in un anno.
Un guadagno netto di 8 euro a taglio.
5000 euro in un anno.
Cazzo, forse mi conveniva mettere fuori le foto.

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martedì 30 settembre 2008

Imparare a mentire.

Ho incominciato a fumare per avere sulle mani l'odore di sigaretta che mia madre aveva sulle sue quando mi rimboccava le coperte?
Mia madre mi ha sempre detto devi scrivere, scrivi un libro.
Mille madri lo dicono a mille figli.
Cosa importa cosa c'è dentro, quello sai fare.
Fare?
Cosa c'entra il fare? Io la vedo la gente che fa, che salva, che pulisce, che monta.
Peggio ancora, ecco il nobilotto in libera uscita che scopre gli spazzini e si sente confuso.
Quindi - dici - scrivo: più onesto.
Lo faccio perché l'ha detto la mamma?
Assolutamente no, assolutamente no (probabilmente sì, probabilmente).
Scrivi, impara a mentire.
Da piccolo recitavo le guide tv, elencavo palinsesti come fossero canti dell'Iliade.
Pranzi di Natale, cenoni di Capodanno: tutti stupiti e felici della timidezza che mi mancava. Farà il presentatore, farà il presentatore.
Ma sbagliavano: perché il presentatore si fa da parte, a malapena si presenta.
Altrove si cerchino i narcisi.
Sai che novità, che siano i pennaioli.
Eppure tutti a scusarsi, di leggere poco.
Ho poco tempo, mi piacerebbe poter, bisognerebbe di più.
Meglio ancora: prima di andare a letto, come le preghiere.
E il romanzo che dura giusto un'estate, perché solo le preghiere ti salvano quando scegli di passarla sotto il sole come una lucertola.
Leggi, impara a mentirti.
Leggi di chi ricorda tutto - di chi racconta primi amori, marachelle, timore di essersela fatta addosso, leggi di bimbi che scoprono il mondo, che toccano, annusano, che ci spiegano quanto come perché eravamo buoni.
Io non ricordo nulla. Ma se serve, farò finta di ricordare.
E così da qualche parte uomini e donne sprecano aggettivi come acqua corrente quando ci si lava i denti.
E la pioggia che sorprende e la brioche che rimembra.
Piove e tutti si siedono alla finestra pensando che ci debba essere qualcosa da dire (o che non si debba dire nulla, che è fondamentalmente lo stesso).
Altri si siedono un po' più lontano e si chiedono come mai l'acqua dal cielo, i più soli stanno a letto e leggono sproloqui di altri davanti ad altre finestre.
Bè, ma qualcosa si dovrà pur fare quando piove.
Bagnarsi.
E togliere la roba stesa, tanto per cominciare.


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lunedì 29 settembre 2008

Autobahn o fenomenologia della corsia di mezzo

Autostrada.
Migliaia di migliaia di vetture che non devono toccarsi.
Quando due si toccano, le altre si fermano.
Si tolgono le due macchine che hanno perso, e si ricomincia.
Per movimentare un po' la faccenda, si introducono nel tracciato vetture che cercano deliberatamente di favorire il contatto - quelle che vanno molto forte e quelle che vanno molto piano.
Procedono lungo i lati del tracciato, lasciando così la possibilità di una modalità di gioco intermedia in cui incontrare teoricamente solo altre vetture con la stessa volontà "mediana".
Ciò non capita come dovrebbe, giacché vetture introdottesi nel tracciato con altre intenzioni (andare molto forte o molto piano) sono costrette a rinunciare ai loro propositi dopo essersi imbattute in vetture con analoghe ma più radicali intenzioni (andare molto più forte o molto più piano) e quindi a riparare nella corsia di mezzo.
Che diventa dunque una lunga colonna di insoddisfazione, di rinunciatari che sporadicamente tentano di reinserirsi nella corsia che un tempo reputavano essere loro consona.
Rimanendo al centro, capita di dimenticarsi l'unica legge che regola l'altrimenti assurda istituzione dell'autostrada - non toccarsi, per l'appunto.
Questa momentanea amnesia può causare due fenomeni distinti: il contatto - ovviamente - e la ben più pericolosa convinzione che l'autostrada sia regolata dal desiderio condiviso di coprire distanze.

Ascolti consigliati e suggestiona(n)ti:

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giovedì 25 settembre 2008

L'Isola Della Peste

Città della moda.
Città della peste.

E non è un caso.

22 ottobre 1629 - si registra il primo caso di peste.
In San Babila, come natura vuole.
Si muore come mosche - quelle stupide di campagna che le becchi subito e credi per un attimo di esser diventato velocissimo tu.


Nel 1634 Agostino Lampugnani, monaco benedettino di S. Simpliciano, pubblica La pestilenza seguita in Milano l'anno 1630, relazione che il Manzoni utilizzerà per scrivere il suo polentone più celebre.
Pochi anni più tardi lo stesso abate Lampugnani pubblica La carrozza da nolo, raccontucolo che cela al suo interno una pestifera intuizione: vi compare infatti per la prima volta la parola moda, come da noi oggi comunemente intesa.

L'inizio della fine.
Che è per altro una buona definizione appunto di moda - che è tale solo quando se ne intuisce la mortalità.

2005. Compro casa nel vione che tange il quartiere Isola.
La pago tot, passano tre anni e a rivenderla piglierei quasi due tot.
Perché? Perché sta per arrivare la moda - o la peste.
Qui dove dall'asfalto crescevano solo spacciatori e rivoltosi, fioriranno gonnelle e modelle - che già pascolano, tra lo stupore dei vecchietti col bianchino.
Dal take away al pret-à-porter il passo è breve.

2008.
Perché fosse brevissimo, ci voleva l'esercito - che pascola anch'esso nell'attesa di disinnescare qualche kebab.
In qualche ufficio con grandi vetrate qualcuno starà mettendo bandierine sulla città.
Per l'Isola ne tengono da parte una speciale - disegnata da Valentino.
Stavano per conficcarla sulla mappa quando fecero cadere la Stecca - feudo di illegalità, delinquenza e aria fresca (malauguratamente sempre si accompagnano).
Ma mancava la Pergola - centro sociale che per 18 anni ha pagato regolarmente l'affitto, ostello, ristorante, giardino dove vincemmo i mondiali abbracciandoci, sotterraneo dove ti sembra di essere a Berlino e dove spesso sei l'unico bianco - contento.
E l'affitto avrebbero continuato a pagare, se fosse stato possibile.
Ma all'Isola sta arrivando la Peste, e chi possiede qualcosa preferisce venderla agli untori.

Domani mattina passa l'ufficiale giudiziario per lo sfratto.
Che sia un ometto che non porta pena o banalmente un arido, troverà ad aspettarlo un presidio.
Dalle 6.30.
Svegliarsi.
Non è mai troppo presto.

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mercoledì 24 settembre 2008

antica

Mi è finito il dentifricio - da giorni secco, perché il tappino si perde al terzo lavaggio.
Scusi dove sono i dentifrici. Terzo corridoio, sotto gli spazzolini.
Offerta. Antica Erboristeria.
E già qui ci sarebbe da scriverci un pamphlet.
Voglio proprio vedere dove cazzo è questa antica erboristeria.
Dice la scatola:

Schwarkopf & Henkel - Henkel Italia Spa (div.Cosmetica) - Milano - Dusseldorf

Dicono la verità. Manco si preoccupano di inventarsi un'Antica Erboristeria sperduta nella Foresta Nera.
Anzi, sottolineano: "Divisione Cosmetica", come a lasciar intendere che al piano di sopra fanno le purghe e a quello sotto i vaccini per la rabbia.

Guardi il logo: sotto Antica Erboristeria c'è un pestello, di quelli dove gli erboristieri del quattrocento facevano i dentifrici.
Ci pensi meglio e ti accorgi che a occhio nel quattrocento ti cadevano i denti a vent'anni e morivi a trentadue. Figurati se perdevano tempo a fare dentifrici.
Non è finita: sotto la scritta ne campeggia un'altra - come dire, non è mai abbastanza - che recita "laboratorio natura".
Viene da chiedersi se il Laboratorio Natura sia in un altro posto ancora o se attiguo all'erboristeria.
Magari i dipendenti dell'uno o dell'altro si incontrano nella stessa mensa.
Che probabilmente si chiamerà Locanda degli erboristi.

Sposti lo sguardo e in alto a sinistra campeggia la scritta TOTALE.
In maiuscolo, e in rosa - per giunta.
Un aggettivo che non completa alcunché.
TOTALE - e basta.
Dev'essere l'esclamazione tipica degli erboristi.
Subito sotto, un altro capolavoro: -99% di crescita batterica.
Meno novantanove per cento.
Che salva tutti.
Come dire, se dopo averlo usato hai ancora la bocca in merda, sarà quell'uno per cento.
Figurati cosa ti sarebbe successo senza usarlo.
Crescita batterica: non ti sta mica dicendo che li uccide, ti dice che scopano meno.
Il che non esclude che scopino tantissimo comunque.

Mi ha convinto, lo compro.

lunedì 22 settembre 2008

Realpolitik dell'ATM - Cane mangia gatto

Segue meraviglioso estratto dalle norme per il trasporto di cose e animali della Azienda Trasporti Milanese - meglio nota come ATM, meglio nota come principale fonte di carta filtro della Lombardia.

(dalla sezione relativa al trasporto di gatti)

...qualora nella vettura fosse contemporaneamente presente anche un cane, ove si evidenziasse incompatibilità di coabitazione fra le specie, il possessore del gatto è tenuto a occupare un altro posto, a cambiare vettura, al limite ad abbandonare il mezzo di traporto o la stazione.

Segue meravigliosa locandina di prescindibile film, probabile ispiratore della realpolitik dell'ATM.
Sbranare o evitare di essere sbranati.

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Leggere prima di ascoltare.

Il tempo c'è, ma non si trova.
I Ministri hanno passato l'estate a scottarsi e a cercar carta per scrivere.
Ora che l'estate è finita e a Milano arriva quel freddo che sembra farti bene - anche se ti cola il naso - i Ministri tornano a scrivere.
Ogni giorno, o quasi, e con ogni mezzo.
Di Ministri si parlerà poco, del resto molto.
In tutte le forme che ci sono state consegnate da secoli di scribacchini (invettiva, poesiola, sonetto, editoriale, bestemmia) e, si spera, in qualcuna inedita.

martedì 10 giugno 2008

Facciamo qualcosa per l'abbiente.

Internet è buono. Ci dà tanto spazio in cui giocare e fare i castelli di sabbia.
I Ministri aprirono il loro myspace un anno e mezzo fa. Firmarono con un clic un fardello di contratti che avrebbero richiesto ore e ore di occhiali fini e slang legalese.
Le avete firmate tutti.
Anche per aprire questo blog.
Tutto gratis. Venite, scrivete, parlate, comunicate, diteci chi siete, dateci la vostra mail, non garantiamo nulla, è tutto gratis, venite, venite.
Un giorno ci faranno vedere quei contratti.
Ci diranno "vedi? le tue parole sono nostre. è sempre stato così. ora spegniamo tutto perché arriva la guerra e tu perderai tutte queste parole".
Forse sono già perse adesso. Non le trovi se le cerchi, le trovi perché sai già dove sono.
E quando si spegnerà tutto, usciremo sui balconi a vedere se anche le altre case sono al buio.
E urleremo per farci sentire.
Ora pensiamo a fare qualcosa per l'abbiente.