mercoledì 4 marzo 2009

La Casa Brucia

Era scritto su un muro della Sorbonne nel 68. Dice tutto.
Se scrivessimo sui muri anche noi invece che scrivere canzoni sarebbe durata un attimo.
E invece.

L'odore che si respira adesso per strada è quello che si respira a casa delle nonne che non si sopportano (di solito, almeno una delle due).
Di quelle coi centrotavola col vassoio silver di caramelle al miele.
E infatti la nonna è là fuori.
E' la sala da bingo che ti apre sotto casa, il cartellone sei per dieci che ti invita a scommettere (cito: A Natale sono tutti più buoni, alcuni più ricchi - complimenti davvero), la parata dell'esercito, il cerone, il rossetto, le pubblicità con Manuela Arcuri, le vecchie coi capelli blu, duemila universitari che cantano a squarciagola com'è bello far l'amore da Trieste in giù,la gente persa davanti ai videopoker mentre prendi il cappuccio e ti dimentichi che lo stato guadagna anche sui quei quattro disperati,Tiziana Maiolo, le trasmissioni in cui il conduttore è in giacca e cravatta e quella che gli sta a fianco è in bikini e non capisci chi dei due ha sbagliato a vestirsi prima di uscire di casa.
Il basso impero è un progetto, non un'eventualità.
La Casa Brucia è un lampione rotto con la fionda, è una tag sul citofono.
Prima di riempirsi la bocca di grandi battaglie, sarebbe bello vedere un po' di onestà e coraggio in quelle più piccole.
Alzare la voce prima di alzare le mani, ché lo zucchero nella benzina fa più danni di un fiammifero.
Dubito che qualcuno possa usare il pezzo come colonna sonora per bruciare qualcosa - ma per svegliare i vicini va benissimo.
A un nostro concerto qualcuno ha detto:
I vecchi bisognerebbe ucciderli da piccoli.
Quotiamo.

NB. Il tema iniziale a tre voci - suonato con un solo dito (per volta) - è una rivisitazione del Pinocchio di Comencini.
Ci faceva venire in mente le guardie.

domenica 1 marzo 2009

Diritto al Tetto

Mio fratello lavorava al Sert.
Ogni sera arrivava a casa con storie di poveri diavoli sospesi ai confini della società, orbitanti attorno alla stazione per una dose di eroina (cinque euro in zona centrale, meno di un big mac menu).
Tra gli altri, c'era un clochard con problemi (tra gli altri) di alcolismo.
Capita che un giorno viene beccato a rubare non si sa bene quale inezia.
Viene processato e messo agli arresti domiciliari.
Sorpresa: il domicilio non c'è. E le carceri son piene.
Ecco dunque che il nostro eroe viene sistemato su una panchina – in Piazza Ferravilla, per la cronaca – e su quella deve farsi trovare per i 365 giorni consecutivi. A qualsiasi ora, con qualsiasi tempo.
Come un normale arresto domiciliare.
Solo che lì mancava il tetto.
Un giorno come un altro, il Nostro deve fare quella grossa e si rintana dietro a un cespuglio per depositare.
Qualche metro più in là passano le guardie.
Trovano la panchina vuota.
Tirano dritto.
Il giorno dopo tornano e lo arrestano.
Il problema non è solo il diritto al tetto, ma anche il diritto a non averne uno.