sabato 11 ottobre 2008

Modelle - le apolidi del nuovo secolo

Nei tram milanesi ci sono tre uscite e un buco da cui entrano le modelle.
Le modelle sono donne orribili e disoccupate: hanno bocche enormi, denti bianchissimi, e gambe sproporzionate.
Quando salgono, tutti le guardano e dicono qualcosa a chi è accanto.
E' impossibile abituarsi e pericoloso avvcinarsi.
Ancora non si sa cosa potrebbe accadere violando deliberatamente il silenzio non scritto che si autoimpone ogni qualvolta una modella decide di turbare la quiete del tram.

La prima preoccupazione è di carattere educativo: come reagirebbe un bambino se vedesse un comune cittadino parlare con una modella?
Nell'impietosa piramide sociale che tutti ci impila, nulla è al di sotto delle modelle - ancora oggi private del diritto di cittadinanza.
Le poverette - condannate dalle loro malformazioni - faticano a confondersi tra la gente e sono costrette a dover contare su loro stesse, sempre e comunque.
Non è raro vederne per le strade mentre tentano di venire a capo di una cartina della città, dopo aver tentato senza successo di ottenere informazioni dai passanti.
Se possibile, è ancora più toccante vederle nutrirsi: con una mela e qualche sorso d'acqua sono capaci di sopravvivere una giornata intera - e le loro facce smunte sembrano non reagire neanche più alle abbuffate di pizze e focacce che le circondano.

Pietosamente, le case di moda hanno deciso da qualche decennio di usare le povere sventurate per la presentazione delle loro nuove collezioni.
Un atto di beneficenza - del resto a tutt'oggi è l'unico lavoro al quale possano aspirare - che nasconde una precisa logica di marketing: il consumatore si convince della bellezza del vestito notando come riesca a far sembrare graziosa anche una di quelle orribili creature capaci di far calare il silenzio sui nostri mezzi pubblici.
Ugualmente strumentale è l'abitudine dei grandi uomini d'affari di farsi vedere in compagnia di modelle nelle occasioni mondane - nel tentativo di promuovere un qualche altrimenti nascosto impegno nel sociale.
Purtroppo, anche quando è loro permesso apparire in discutibili dimostrazioni di compassione - non è loro concessa la parola.
Ci si limita a farle sorridere, per far sì che la gente da casa si spaventi e si commuova - davanti all'orrendo spettacolo di quelli orribili, enormi, bianchissimi denti.

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giovedì 9 ottobre 2008

Formiche in casa.

Ho le formiche in casa.
O meglio, le ho sempre avute.
Non te le danno con la casa, ma prima o poi appaiono.
Ti scelgono.

Vengono mandati piccoli gruppi in avanscoperta da un enorme formicaio centro metri sottoterra. Partono in una dozzina al massimo, a seconda della metratura della tua casa.
Spetta a loro comunicare al comitato centrale quanto l'appartamento in questione sia idoneo all'apertura di un nuovo formicaio: detriti per terra, buchi nei muri, dieta dell'inquilino, disposizione dello stesso all'uso di prodotti chimici per gli insetti e viceversa sue possibili simpatie verso l'entomologia.
I gruppi di perlustrazione sono facilmente individuabili.
Capita infatti di imbattersi in una singola formica, sperduta nel mezzo del tuo tinello.
Se la risparmi nella speranza di poterla seguire e individuare il formicaio, sei un ingenuo.
Andrà invece alla sede centrale a dire ci stanno aspettando.

Quando finalmente avviene l'insediamento del formicaio, fanno di tutto perché tu te ne accorga, non rinunciando a vendersi bene.
Invece di gettarsi in massa sul biscotto che da un mese giace sotto al tavolo della tua cucina, si fanno deliberatamente sgamare mentre camminano in colonna con fare disneyano lungo il muro.
Ho le formiche in casa - penso.

Ho messo una microcamera su una di loro - quella che rimaneva indietro nella fila - per vedere cosa combinasse tutto il giorno.
Ho guardato ieri sera i filmati raccolti in un mese di monitoraggio.
Due palle.
La formica si alza, rufola un po' nel formicaio senza un'apparente logica, esce che io sono già uscito, evita la mia stanza (come biasimarla), va in cucina, spera che io abbia fatto colazione, prende quello che riesce e torna alla casa base con umore variabile.
Insieme a lei, centinaia di altre formiche.
Non ci voleva un genio, ma sta di fatto che hanno capito che dalle 11 alle 17 in casa non c'è un'anima. Si muovono perciò in massa, oscurando le piastrelle e saltando sui divani.
Il filmato continua: la formica, un volta nel suo cantuccio, pare indecisa se fare un salto a raccogliere resti di sigarette mezze aperte davanti alla tv o se andare a nanna.
La registrazione si ferma allo scorso sabato sera: la formica, sicura di trovar la casa libera, esce, va in sala, mangia un pezzo di fumo rimasto nel tappeto, va in para e torna nel formicaio dicendo mi stanno spiando, ne sono certa.
Le altre, con un risolino, le mostrano la microcamera che si ritrova in mezzo alle antenne.
Le immagini finiscono qui.
Che tedio la vita delle formiche: alzarsi ogni giorno, andare a procacciarsi il cibo in un modo o nell'altro, tornare al formicaio, uscire la sera senza nessun motivo valido e scoprire che nonostante le tue giornate di merda c'è pure qualcuno che ti piazza addosso le telecamere.

Formiche

lunedì 6 ottobre 2008

Prima che incominci il film - ovvero del mangiar cani e comprare diamanti

L'ottimismo incondizionato è una particolare disposizione del consumo: quando si spende, si difende ciò per cui i soldi sono stati spesi - più della propria madre minacciata dalle tigri.
Prova ne sia l'ingiustificata speranza che si respira in una qualsiasi sala cinematografica prima della proiezione.
Ti strappano il biglietto, ti fai largo tra quei meravigliosi e mai lavati tendaggi in velluto rosso e trovi posto (un tempo: ora te lo appioppano all'entrata - servizio inutile dato che il problema non è mai la distanza dallo schermo, ma sempre la crapa di quello davanti).
E lì, una volta seduto, il miracolo.
Puoi essere andato consapevolmente a vedere la peggiore delle stronzate, ma finché lo schermo non te lo ricorderà impietosamente, ti sembrerà di essere percorso appunto da un inspiegabile ottimismo - e anche se solo, ti rincuorerai dicendoti magari non è poi tanto male.
Specie se la sala non è completamente piena.
Essere in cento in una sala da mille crea una sottile complicità tra i presenti: ognuno giustifica con la propria presenza la scelta dell'altro, legittimando il rischio e sottintendendo se fa davvero cagare, dimentichiamoci di essere stati qui.
Viceversa, quando si è in mille in una sala di mille vige una minore concordia - dato che nessuno ha il bisogno di un'altrui legittimazione.
Anzi, i poveri di spirito si guardano dagli sguardi che sembrano dirti tu sei qua per sentito dire.
Ma torniamo all'attesa.
La suddetta benevola disposizione dello spirito - derivante appunto dal dovere di giustificare i soldi ormai già spesi - poteva forse sfuggire agli sciacalli del marketing, ai subliminalisti di professione?
Mai sia.
Ed eccoci arrivati al punto - l'affascinante sequela di trailer e pubblicità che cercano di farsi largo come tenie nel nostro bendisposto organismo.
I pori sono aperti, entra tutto.
Entrano i diamanti - che ti rinfacciano con lunghi e ambiziosi spot in bianco e nero, con voce off sussurrante, spalla di donna, promessa di uomo, strattone di quella che hai a fianco che dice una banalità da bar sull'intrinseco ed eterno valore dei diamanti.
E ci fai un pensierino.
Entra la macchina sportiva - che ti mostrano snella e rapida su splendide strade tra i larici. E pensi che chi la sta guidando sta di certo andando a raggiungere una donna proibita in un cottage.
Anzi, meglio, esce proprio da quel cottage dove l'ha appena soddisfatta, e ora gira per la brughiera sicuro della sua mascolinità e dei suoi tot cavalli.
E ci fai un pensierino.
Entra il prossimo indifendibile legal-thriller con Denzel Washington - con quei chilometrici trailer che ti presentano antefatto, svolgimento, montaggio frenetico di scene del probabile epilogo (con frammenti di: sesso, inseguimento, pistola, corsa, abbraccio, panorama, sesso, esplosione) con finale di titolone che spezza il climax. In tre minuti sai già tutto della sceneggiatura - e pure del finale perché già Denzel Washington non muore mai, figuriamoci in questi tempi di antirazzismo dilagante.
Eppure, ci fai un pensierino.
Infine, se sei in un cinema padano, non potrai sfuggire alla Ca' Del Gulascia.
Un ristorante tipicamente lumbard che per ragioni ignote occupa da anni il suo posticino nel suddetto carosello cinematografico.
Non ci sono esplosioni, non ci sono diamanti: solo una foto coi colori del Mago Di Oz che ti mostra un cascinale dall'aria appetitosa.
E ti sembra di trovarti davanti un rimasuglio di una comunicazione antica, di un mercanteggiare più sano e sincero.
Per anni, sprofondato nelle pulciose poltrone dei cinema milanesi, mi sono trovato di fronte alla Ca' Del Gulascia.
Decido di vederci più chiaro - in questa anomala sopravvivenza.
Qualcosa scopro, ma non capisco se c'entri o meno: diversi anni fa una famigliola andò a mangiarvi e come spesso capita diede un pezzo di carne al cane sotto al tavolo. Questi però lo rifiutò con un atteggiamento insolito.
Due giorni dopo nelle cucine entrarono della Ca' Del Gulascia entrarono i carramba, e ci trovarono frigoriferi pieni di cani - mammifero poco gradito sulle nostre tavole.
Non seppi nulla dello scandalo. Io a quei tempi me la godevo al cinema.
E tifavo per la Ca' Del Gulascia, che sopravviveva accanto a Dior e Denzel Washington.
Me l'avessero chiesto, avrei pure assagiato un po' di cane.

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mercoledì 1 ottobre 2008

Perché i nodi vengono al pettine.

BELLOCCI E BELLOCCE: IL MISTERO DELLE FOTO IN VETRINA

Le foto sulle vetrine dei parrucchieri. E dei barbieri.
Perchè tutti le mettono. Chi le fornisce. Perchè cazzo tutti le mettono.
Dico tutti.
Dal gian-lui-davidd da 60 euro a sforbiciata al peggio barbierazzo di quartiere, quello che sa fare spazzola, militare e primo McCartney quando è in buona.
Chiome luminose di adoni, ciuffi impresentabili di lolitone.
Fotografie che paiono il retro di un vinile degli Europe e scatti patinati e lucidi come fossero unti.
Possibile che non ci sia un cristiano d'un barbiere in questo paese che decide di aprire un parrucchiere e di gestirsi la vetrina senza facce, senza la referenza di modelli mai visti e mai incontrati?
I tatuatori mettono i tatuaggi che hanno effettivamente portato a termine.
I parrucchieri no. Pescano a caso da cataloghi e moquettari umani.
Perchè tutti le mettono, cosa stanno cercando di dirci?

1. Qui dentro sappiamo farti i capelli come quelli del belloccio nella foto (ma devo essere già belloccio?).

2. Qui dentro entrerebbe volentieri anche il belloccio della foto, a farsi tagliare i capelli o anche solo a vedere com'è l'arredo.

3. Questo è un posto per bellocci.

4. Esiste un mondo di bellocci che si accoppiano con le bellocce della parrucchiera all'angolo. Tu non c'entri - scordatelo - sfigato.
Ora che l'hai capito, renditi conto che questo è il genere di posto in cui quelli come te vanno a farsi tagliare i capelli.


Dev'essere questa.

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APRIRE UN PARRUCCHIERE. PERCHE' NON CONVIENE.

Mettiamo che domani apri un parrucchiere, mettiamo che non hai amici, che sei in quartiere in cui non conosci nessuno.
Affitti il posto, lo arredi, compri i prodotti, assumi una sciampista.
Chi ti porta le foto? Quando decidi di metterle?
E soprattutto, come fai a farti una clientela?
Quante probabilità hai che qualcuno passi davanti, che pensi cazzo-mi-devo-tagliare-i-capelli, che non abbia già un parrucchiere di fiducia, che abbia con sè i soldi ed entri?
E anche se lo facesse, ne rimanesse pure entusiasta, quanti amici potrà mai convincere successivamente? Quanto tempo ci vuole perché questa catena possa darti i soldi per pagare la sciampista?

Un veloce calcolo.
Apri in quartiere X, solo nella tua via hai venti portoni, ventisei citofoni e una media di ventiquattro targhette per citofono. Facciamo due inquilini a targhetta.
Non ho voglia di fare il conto per benino, ma diciamo millecinquecento persone.
180 sono vecchi di quelli che o non ne hanno più o hanno altre cose a cui pensare, tipo non farsi sbranare il cadavere dai gatti.
100 si taglieranno i capelli da soli, perché io mica ho i soldi per bla bla (e allora fatti anche il pane).
100 se li fanno tagliare dall'amica che li taglia abbastanza bene tranne quella volta che.
200 calvi.
150 vanno giù di macchinetta per assomigliare a Cannavaro et similaria.
50 metallari che piuttosto che tagliarmeli.
30 rastoni.
70 lattanti di qauelli ancora glabri.
20 suore di professione - che avranno un circuito loro per far tutto.
40 amici, parenti, creditori del parrucchiere dell'isolato dopo.
Rimangono circa 500 teste potenzialmente seducibili.
400 di queste hanno già un posto dove vanno abitualmente.
Ti rimangono 100 zucche, di cui 12 in causa col loro ex-parrucchiere - e ancora parecchio intrattabili quando si entra in argomento.
88 persone su cui sperare, passanti di altre zone esclusi.
Un taglio ogni 2 mesi di media.
Un totale di 600 tagli in un anno.
Un guadagno netto di 8 euro a taglio.
5000 euro in un anno.
Cazzo, forse mi conveniva mettere fuori le foto.

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